L’errore concettuale del razzismo

La convinzione che la specie umana sia divisa in razze, cioè gruppi all’interno della nostra specie, è nata soltanto alla fine del XV secolo, quando il colonialismo e l’industrializzazione hanno permesso la rinascita dell’Europa da un punto di vista economico, culturale e politico. L’incremento demografico, l’evoluzione tecnologica, la ripresa del commercio, dettero il via al moderno sistema di produzione industriale, e spinsero verso l’espansione in nuovi territori.

I paesi europei erano poveri di materie prime mentre i paesi africani ed asiatici, ne erano ricchi e, in aggiunta, fornivano mano d’opera a basso costo, detta “schiavi”.

Dal 1415 al 1600 Spagna e Portogallo conquistarono territori in America, Asia e Africa. Dal 1606 al 1818 la Francia, i Paesi Bassi e Gran Bretagna si fecero strada nelle Americhe e in Oceania. Dal 1819 al 1860 Francia e Gran Bretagna continuarono a espandersi in Africa e Asia.

I maggiori antropologi dell’epoca cominciarono ad cercare di catalogare le cosiddette razze, e a inventare un criterio valido per distinguerle tra loro, per stabilire delle classificazioni interne alla specie umana in base a criteri morfologici o culturali.

Il trattamento riservato alle popolazioni africane deportate negli Stati Uniti per ridurle in schiavitù, per esempio, era la diretta conseguenza della loro appartenenza a un’altra razza, considerata inferiore dal punto di vista intellettuale.

Gli studi scientifici moderni basati sulla genetica (il famoso DNA) hanno dimostrato che il concetto di “razza” non è adatto a suddividere i diversi gruppi della specie umana: le migrazioni dei nostri antenati infatti hanno mescolato i geni.

Gli uomini si muovono da sempre e le varietà continuano a mescolarsi. I genetisti Luca Cavalli-Sforza (morto nel 2018) e Richard Lewotin hanno distrutto i fondamenti biologici del concetto di razza.

Le nozioni di “razze superiori” nate nell’Ottocento hanno creato la base e la giustificazione per tragedie immani. Ne sono terribili esempi il nazismo tedesco e lo sterminio degli ebrei per il mantenimento della purezza della razza ariana, il massacro degli armeni, dei pellerossa nel Nord America, degli aborigeni australiani, la discriminazione nei confronti degli uomini di colore in diverse parti del mondo,

Eppure è un’idea difficilissima da sradicare dalle nostre menti, ancora oggi. La colpa, è forse nella nostra storia culturale che ha creato radici così profonde che la sola ragione e la scienza non riescono a cancellare.

Il radicamento di questi stereotipi nella cultura popolare è dovuto anche a una furba opera di propaganda dell’intera classe intellettuale che portò, ad esempio, alle leggi americane e inglesi contro i matrimoni misti, propaganda che viene anche oggi abilmente usata per ottenere consenso.

Oggi che conosciamo bene il DNA ci rendiamo conto che le nostre differenze sono soltanto piccole sfumature.

Più che di razzismo, a mio modestissimo parere, penso che spesso si tratti banalmente di “ignoranza” (nel vero senso del termine): che dire di molti credenti cristiani che “ignorano” il famosissimo detto “Ero straniero e mi avete accolto” (Vangelo di Matteo, 25, 34-35) ?

Albert Einstein, quando arrivò negli Stati Uniti, dovette indicare su un modulo dell’ufficio immigrazione a quale razza appartenesse. E Einstein scrisse: «umana». Era il 1933 e lo scienziato fuggiva dalla sua Germania proprio perché erano iniziate le persecuzioni contro gli ebrei come lui.

Anche l’ “egoismo” può essere associato a ignoranza: si tende ad aver paura o, come minimo, diffidenza del prossimo, soprattutto se di nazionalità, colore o religione diversa.

Per fortuna ci sono ancora persone che sanno evitare discriminazione infondate e sono pronte ad accogliere. Alcuni nigeriani hanno lasciato il loro Paese, hanno raggiunto e attraversato il Sahara, abbandonando lungo la strada, senza nemmeno il tempo di dire una preghiera, i loro compagni morti. Sono arrivati in Libia, dove hanno subito torture, finché sono riusciti a raggiungere l’Italia e sono stati collocati ad Angera. Molta gente li ha accolti, gli ha fornito vestiti, scarpe, biciclette, gli ha insegnato l’italiano e anche un po‘ di matematica.

Oggi tutti hanno un regolare contratto di affitto (approvato dalla Curia) e tutti hanno un lavoro.

Mettiamoci di fronte allo specchio e facciamoci un esame di coscienza: chi di noi avrebbe questa determinazione, questa enorme forza psicologica e fisica per affrontare e sopportare una vita così dura e difficile?

Io, per primo, non ne sarei capace e aggiungo: “nessuno”. È questa la loro vera forza, che noi non abbiamo o non abbiamo più, e ci fa una paura enorme: non reggeremmo mai il confronto! Se noi dovessimo vivere anche un sol giorno in Afganistan, non riusciremmo a sopravvivere.

E allora cerchiamo di chiuderci dentro le nostre case, la nostra nazione, e, se possibile, innalziamo barriere che ci illudiamo siano invalicabili.

È l’ignoranza scientifica, l’ignoranza etica e la paura di perdere ciò che pensiamo sia e debba rimanere solo “nostro” che è il nutrimento irragionevole ed errato del cosiddetto “razzismo”.