La mania di etichettare

È fin troppo facile etichettare le persone perché tutti, in quanto esseri umani, abbiamo caratteristiche diverse, positive e negative. Queste differenze tra individui cambiano nel corso della vita: in aggiunta nostre idee e in nostri comportamenti non sono gli stessi a 20 anni, a 40 o a 70 anni.
Eppure molti di noi si divertono un mondo ad etichettare le persone, le idee, i Partiti, le linee politiche, la morale, le religioni. Così troviamo sempre un modo per alzare dei muri tra di noi e rendere più difficile la convivenza, quando, purtroppo, non provochiamo acerrime dispute o addirittura delle guerre.
Formuliamo valutazioni e giudizi frettolosi, acritici, senza nemmeno conoscere in profondità le persone o le idee. Sottolineiamo con sadico piacere i difetti più evidenti, esaltiamo le qualità. L’etichetta è sempre il risultato del “pre-giudizio” cioè nell’emettere una pre-valutazione che ci è necessaria per vivere la realtà.
È strano come tendiamo a sottovalutare le somiglianze e l’unione, ma diamo sempre più importanza alle divisioni. Ignoriamo il ruolo eccessivo che i Mezzi di Comunicazione hanno nell’inculcare la linea editoriale della loro proprietà. Pensiamo a quante volte, riportando una notizia, vengono sottolineate delle caratteristiche individuali come la nazionalità o la religione di chi commette crimini. Un esempio: un assassino viene etichettato come islamico, come se questa appartenenza religiosa o di nazionalità fosse l’unico elemento che lo lega al crimine commesso. Nel contesto reale potrebbe essere un dettaglio irrilevante ma diventa un pretesto per spingere il giudizio di chi legge o ascolta verso le divisioni.
In realtà le persone e le idee si sono formate attraverso le esperienze di vita e le scelte fatte.
Affibbiare etichette significa incasellare rigidamente, cristallizzare dentro stereotipi (talvolta con vere e proprie forzature) una persona, un’idea, senza sfaccettature, in modo monolitico e immutabile.
Questo giudizio sommario riduce di molto l’obiettività dei nostri giudizi sulla loro totalità individuale di esseri umani, e su tutti gli esseri umani. Ci abituiamo a non soppesare le parole che usiamo e, alla lunga, modificare il significato stesso delle parole.
Destra – Sinistra, Bianco – Nero, Credente – Ateo, Giusto – Sbagliato, Amico – Nemico, Colto – Ignorante, Simpatico – Antipatico, Noi – Loro, Giovane – Vecchio.
Un esempio per chiarire meglio il concetto: se invece di extracomunitari ed europei, li chiamassimo semplicemente persone? Se ebrei, musulmani e cristiani fossero, nella nostra mente, solo persone o popoli?
Non dobbiamo dimenticare che ognuno di noi è anche molto altro da quello (poco!). che può essere contenuto nella casella. Altrimenti ci abituiamo a distorcere lo sguardo sulla realtà e perfino di adeguarci inconsapevolmente a pensare ciò che altri vogliono farci credere.
L’aspetto più negativo è la valutazione errata che facciamo della persona che abbiamo davanti basandosi solo sul “rumore sociale”, cioè su quelle sovra-semplificazioni e luoghi comuni che ci inducono a raggruppare in modo irreale la percezione che abbiamo dell’altro diverso da noi e posizionarlo in un recinto mentale di cui abbiamo stabilito il recinto e le aperture.
Gli uomini utilizzano scorciatoie mentali per capire un concetto o un evento in modo veloce e con il minimo sforzo. Questi meccanismi sono indispensabili in quanto è impossibile riuscire ad analizzare tutti gli elementi di ogni nuova situazione che ci si presenta.
L’errore di valutazione dipende dall’errato utilizzo delle scorciatoie o per incompetenza, o per una personale idea nel sistemare le persone nel nostro mondo interiore, per egoismo, per egocentrismo, per non voler modificare la nostra posizione o peggio, per pigrizia mentale.
Abbiamo quindi la tendenza a creare la nostra realtà soggettiva, non necessariamente corrispondente all’evidenza, interpretando a nostro modo le informazioni in nostro possesso, cosa che ci porta quindi a un errore di valutazione o alla mancanza di oggettività di giudizio.
Crediamo di esprimere dei giudizi che a noi sembrano oggettivi, ma che alla lunga diventano pregiudizi, su cose che non abbiamo mai visto o di cui non abbiamo mai avuto esperienza diretta.